C'è una sorta di pudore, qua nel mondo dell'arte, a parlare delle opere che compriamo come una forma di arredo.
Come se nella "decorazione" vi fosse qualcosa disqualificante, perché, e lo sappiamo senza negarlo, lo scopo dell'arte non è quello di rendere più confortevoli le nostre vite.
L'arte pone domande, stimola riflessioni, e raramente si abbina al divano.
Eppure, l’arte si muove e vive nelle case di chi la accoglie, di chi vi ha trovato quello spunto di bellezza o di inquietudine (o forse entrambi) al punto di desiderarne il possesso.
Ma ripartiamo dalle definizioni:
arredamento /ar:eda'mento/ s. m.
L’arredamento è l’operazione dell’arredare, cioè del fornire un ambiente interno o esterno di mobili e accessori, sistemandoli in base a criteri pratici ed estetici e selezionandoli secondo l’uso a cui l’ambiente è destinato.
Secondo l’uso a cui l’ambiente è destinato.
Se è vero che non vogliamo ridurre le opere a orpelli e suppellettili, è altresì vero che riconosciamo loro una funzione.
Consideriamo quindi le funzioni dell’opera e le funzioni del luogo.
Ecco allora che l’”arredare” non ha più il solo scopo di abbellire, ma del completare una destinazione d’uso, che non è necessariamente e solamente fisica. Lo spazio-casa è, del resto, nient’altro che una struttura complessa che niente altro fa, però, oltre che accogliere il nostro io più intimo, che ci abbraccia e ci fa sentire al sicuro, che ci nutre e che ci fa riposare. Nel quale raccogliamo, anche, testi e immagini che ci accompagnano nella cura del pensiero.
Ecco, l’arte non si abbinerà mai al divano, no. Ma sicuramente si abbinerà alla persona che la sceglie, che la colloca, che la gode nel privato, che vi adorna il proprio sguardo più che le proprie pareti.
Il vero collezionista è un bambino che ha appreso la difficile arte di abitare nelle cose che ha raccolto, senza fine.
Marco Belpoliti, Colleziona, colleziona, qualcosa resterà, su La Stampa, 2015
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