“Ero costantemente alla ricerca di qualcosa di misterioso, mi immergevo nella natura, quasi mi confondevo nella sua stessa essenza, fuori dal mondo degli uomini.”
In queste poche righe Irene Meniconi riesce a racchiudere tutta la sua poetica, che poi snocciola e articola tra le righe di testo e quelle dei fini pennini che usa per gli inconfondibili dettagli delle sueopere.
Maestosi, imponenti, colorati, forti. I soggetti da lei raffigurati appaiono come un colorato monumento a quegli animali che tanto ama, ma il suo lavoro non si limita alla semplice esaltazione della magnificenza dei suoi soggetti.
Tra i colpi di pennello e le righe di penna compaiono a tratti pagine di diari, le linee si fanno più dure e l’attenzione si concentra sugli occhi, sullo sguardo profondo e intenso di cavalli, pavoni o fenicotteri. È uno sguardo con cui, come scrive l’artista: “ci invitano a cercare dentro noi stessi e ad intraprendere il percorso interiore di cui abbiamo bisogno. Ci invitano anche al rispetto, perché loro vedono e sanno, verso noi stessi, verso gli altri e verso la Natura e quindi verso la vita.”
Le sue opere sono il racconto di un profondo percorso interiore, la narrazione di una battaglia per la propria rinascita. La penna e il colore sono i mezzi con cui opera le proprie cicatrici interiori, celebrandola forza dei suoi soggetti e la propria.
L’ arte, per Irene, come per molti altri artisti, è un mezzo, un potente mezzo di cura, accudimento e rielaborazione.
Irene è una survivor. Ha subito abusi sessuali e psicologici per 6 anni, dai 15 a 21 anni, da parte di una persona di fiducia dell’età di suo padre.
“In ognuna delle mie opere, in alcune più di altre, è rappresentata una parte del percorso che forzatamente ho dovuto affrontare per sopravvivere. Gli aspetti sono tantissimi e alcuni probabilmente sono inconsci: la presa di coscienza, prima di tutto, di quello che mi è successo, la paura, la rabbia, la frustrazione, l’angoscia, il panico, la sensazione di essere perennemente in pericolo, la consapevolezza, la libertà, il lasciare andare… questi e tanti altri elementi di un percorso intrapreso, avvalendomi anche dell’aiuto di una psicoterapeuta specializzata in traumi infantili, sono raccontati da molte delle mie opere.’’
La scelta di raccontare e di raccontarsi attraverso gli animali è una scelta naturale per Irene, che da sempre ha un legame profondo e intenso con loro, vivendo la sua vita a contatto con la natura. Tanti gli animali che l’hanno accompagnata nella sua vita: tra tutti uno di questi è Yakky, il cavallo che dovuto ‘’perdere” in seguito alle violenze subite. Ritroviamo Yakky nell’opera ‘’Essere cavallo: il cavallo baio”. Di lui, e del suo rapporto con lui parlerà anche nell’opera: ‘Specchio’’.
“Il rapporto con lui non è stato facile, perché i cavalli sono estremamente sensibili alle emozioni umane, le assorbono e riflettono, ho vissuto con lui un’esperienza di amore sincero di ragazzina parallelamente ad un incubo che non riuscivo a capire e lui ha assorbito tutto questo e mi ha ributtato fuori tutto con degli atteggiamenti a volte aggressivi e difficili da gestire. È stato interessante vedere come io mi sia proiettata dentro Yakky durante tutto il processo di elaborazione: ho fatto innumerevoli sogni su di lui ed ogni volta lui ero in realtà io, nella maggior parte dei sogni andavo a salvarlo perché si trovava ancora nel maneggio vecchio, in balia del “mostro” che lo trattava male, lo teneva rinchiuso e lo faceva soffrire, in ogni sogno io andavo a liberarlo. E così avendo il coraggio di tornare nel vecchio maneggio liberavo una parte di me.”
Ed ancora troviamo l’occhio del cavallo ne ‘’Io sono la mezza farfalla”. In questa opera è racchiuso tutto il percorso che ha fatto per raggiungere la consapevolezza degli eventi accaduti. Consapevolezza necessaria per tornare indietro e ripartire. Per curare e guarire. Nell’opera sono presenti tutti gli elementi fondanti dell’intera opera dell’artista. Gli elementi naturali, le pagine dei diari, il micro e il macro cosmo e l’occhio, che osserva vigile, che scruta intimamente: giudice e testimone silenzioso.
“Essa può quindi indurci, se noi lo vogliamo o se siamo abbastanza sensibili, all’ introspezione e alla riflessione verso noi stessi, nella nostra “caverna primordiale”, dalla quale possono scaturire infinite cose a noi coscientemente e razionalmente sconosciute. I titoli delle opere spesso iniziano con la parola “Essere” affiancata poi al nome dell’animale rappresentato o ad una sua caratteristica. Ed è questo che essi sono, “Esseri Animali”, un insieme di masse muscolari, forme, caratteristiche fisiche e psicologiche, esseri solari ed oscuri, portatori di sensibilità e forza, di un aspetto concreto e di uno etereo, spirituale.’’
L’opera di Irene non è però da leggersi in una chiave di anacronistico dolore e rielaborazione. Le sue opere sono un inno alla rinascita, alla forza, alla diversità, alla giustizia e alla bellezza. Sono opere che celebrano la vita e che la proteggono.
Sono anche un invito alla riflessione sul nostro atteggiamento nei confronti della natura e del controllo che cerchiamo di avere su essa, sulla responsabilità del potere delle nostre azioni, come massa e come individui. Gli animali che ci guardano e ci proteggono delle sue tele ci invitano alla cura, al rispetto reciproco.
Sono il racconto di un Eden perduto ma soprattutto ritrovato L’Eden, il giardino delle meraviglie, l’oasi feconda, il paradiso in terra è quello spazio che costruiamo con le nostre azioni, con le scelte consapevoli, con l’equilibrio. Il raggiungimento di uno ‘’stato di grazia’’ terreno che non è però dovuto o automatico, ma che richiede un preciso impegno. È una richiesta e al tempo stesso un’indicazione, un suggerimento per una strada da percorrere, tutti, insieme.
‘’ In tutta questa storia non ho mai avuto una possibilità concreta di rivalsa o di giustizia e quell’ “uomo” è ancora a piede libero. Non ho avuto nessun tipo di aiuto da parte delle istituzioni che dovrebbero occuparsi di casi del genere, ho provato diverse volte ad agire ma ho trovato solo porte chiuse… la mia vittoria è sicuramente quella di poter raccontare tutto senza più vergogna, senza più paura e con tanta consapevolezza e forza attraverso le mie opere ma anche dichiarando apertamente le intenzioni dietro ad esse, senza lasciarle solamente celate per chi sa intendere.
Piccoli atti di coraggio e di fiducia verso noi stessi e verso coloro che sapranno accoglierci sono fondamentali per costruire un mondo più consapevole e veramente più vivibile per tutti. Sto bene. Ma posso affermare con certezza che intorno alle mie opere io mi sento un po’ più al sicuro.’’